DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA – sede penale e civile
L’epiteto stupratore – di per sé assai offensivo – è ammissibile in un contesto di critica politica e in presenza di determinati presupposti

Corte di Cassazione Penale – V Sezione – n. 6429 del 21.2.2005
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Il fatto: un noto uomo politico dichiarò pubblicamente l’intenzione di stuprare un collega parlamentare per certe sue posizioni politiche, espressione poi ripresa da un giornalista, che definì quell’onorevole ‘stupratore’, per sottolineare l’incompatibilità operativa tra i possibili partecipanti ad una coalizione governativa dell’epoca ‘95-‘96.
Dall’episodio nacquero tre gradi del giudizio penale. Inizialmente il Tribunale di Monza condannò il giornalista per diffamazione, liquidando anche una somma a titolo di risarcimento, tale sentenza venne poi riformata dalla Corte d’Appello di Milano, a sua volta confermata dalla Corte di Cassazione con analitica motivazione.
Il giudizio civile, derivato dalla originaria condanna risarcitoria del Tribunale di Monza, confermò l’esito del processo penale, escludendo la sussistenza di un’offesa alla reputazione e di un danno risarcibile.
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La Corte di Cassazione ha escluso che il termine ‘stupratore’ utilizzato dal giornalista potesse costituire una lesione dell’altrui sfera morale e con ciò ha escluso la sussistenza di alcun fatto illecito.
D’altronde, in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto di critica –qual è quello del giornalista opinionista- si differenzia da quello di cronaca, tecnicamente inteso, essenzialmente in quanto il primo si concretizza nell’espressione di un giudizio o, più genericamente, di un opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva.
Un tale diritto costituisce infatti una specificazione della libertà di pensiero sancita nell’art. 21 della Costituzione. L’articolista non si limita a riferire le notizie, ma le interpreta e le commenta. Non è mai completamente neutrale, essendo lo scritto frutto di una elaborazione soggettiva. Il diritto di critica è legittimo ove siano rispettati i limiti di rilevanza pubblica della notizia, verità dei fatti e serena esposizione della notizia.
Quindi, dall’esame di questa pronuncia risulta la mancanza di responsabilità in capo al giornalista per il fatto: in primis, per la scriminante putativa legata al convincimento di poter usare il termine “stupratore” sulla base del precedente uso della parola da parte dello stesso onorevole così facendo venir meno l’elemento soggettivo; secondariamente e in maniera netta viene esclusa la valenza oggettiva diffamatoria del termine incriminato così come usato nel contesto di cronaca/critica politica: ‘il termine in questione, pur incontrovertibilmente lesivo, finiva con l’essere direttamente funzionale alla caratterizzazione politica dell’intero articolo, piuttosto che volgersi ad una gratuita aggressione dell’altrui sfera morale”.
La critica politica, correttamente esercitata come nel caso di specie, configura la causa di giustificazione di cui all’art. 51 cp dell’esercizio di un diritto. Anche la dottrina ha affermato che, “le cause di giustificazione in senso stretto, elidendo l’antigiuridicità o illiceità come contrasto tra il fatto e l’intero ordinamento giuridico, rendono inapplicabile qualsiasi tipo di sanzione (anche civile o amministrativa) …in questa categoria rientrano l’esercizio di un diritto (art. 51) e la legittima difesa (art.52) (Fiandaca – Musco, “Diritto Penale”, Bologna, Terza edizione, pag. 220).
Identico convincimento si era notato in una sentenza della Corte di Cassazione n. 9795 del 5 dicembre 2000, per la quale l’assoluzione dell’imputato con la formula il fatto non costituisce reato, adottata ad esempio in carenza dell’elemento psicologico del reato, ha efficacia preclusiva nel giudizio civile per le restituzioni o il risarcimento del danno ogni qualvolta l’illecito civile sia caratterizzato, dal punto di vista dell’elemento psicologico, in maniera identica all’illecito penale.
Nella fattispecie trattata, accade proprio questo: le caratteristiche del fatto, così come le esimenti, coincidono sia dal punto di vista penale che da quello civile. In base a tali principi, il giudicato penale di assoluzione preclude la proposizione, nel giudizio civile risarcitorio per il medesimo fatto-reato, di una ricostruzione della vicenda che postuli elementi di fatto esclusi dal giudicato penale (conforme: Cass. Lavoro n.9235/2006).
Conseguentemente il Giudice civile, pur potendo evitare l’esame del fatto, limitandosi a richiamare semplicemente le risultanze del giudicato penale definitivo, ha ritenuto di analizzare la fattispecie, giungendo a escludere qualunque ‘offesa alla reputazione…e danno risarcibile’.
Dunque, sotto entrambi i profili, la pretesa risarcitoria dell’onorevole è risultata infondata per essere il fatto ampiamente scriminato, posto che l’informazione giornalistica è stata desunta da “informazioni” offerte dall’onorevole.
Questo è un dato rilevante ai fini della verifica ex post della condotta tenuta dal giornalista.
L’esimente del diritto di cronaca, anche sotto l’aspetto putativo o dell’eccesso colposo, presuppone una correlazione fra quanto è stato narrato e ciò che è realmente accaduto e richiede il rispetto del limite interno della verità oggettiva di quanto riferito, nonché l’obbligo di rappresentare gli avvenimenti come sono (conformi: Cass. Sez. Unite, n. 166252/1984; Cass. Sez. V, n. 169460/1985; Cass. Sez. V, n. 2113 del 6.03.1997; Cass. Sez. V, n. 6018 del 21.06.1997; Cass. Sez. V, n. 8848 del 1.10.1997; Cass. Sez. V, n. 12024 del 21.10.1999).
Inoltre, Il cronista che ha vagliato diligentemente le sue fonti non può essere condannato a risarcire il danno. (Cass. Civ. Sez. III, n. 14334/2001).

Avv. Davide Ferrieri

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